80 giorni sono nulla in confronto all'estenuante viaggio azzurro da Russia 2018 a Qatar 2022...
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Si spengono un'altra volta i riflettori sul mondo calcistico italiano, pochi mesi dopo la vittoria, insperata nei campionati Europei del 2020 svoltasi causa pandemia nell'estate 2021, il destino ha voltato lo sguardo verso altri orizzonti, nuovamente.
L'Italia del pallone si ritrova di nuovo, a quattro anni di distanza a fare ancora una volta spettatrice nella competizione mondiale.
Una débâcle imprevista, in quanto la nazionale degli azzurri arrivava da un percorso incredibile senza sbavature o quasi, che perdurava da molto prima del trofeo raggiunto a Wembley.
Ci si aspettava un calo fisico, ovvio; magari qualche motivazione in meno, certo; forse ci si poteva appellare anche a qualche defezione... ma quello che si è visto è stato certamente imbarazzante, umanamente e sportivamente.
Una sconfitta senza appello, una partita giocata male, in modo impreciso e con un senso di spocchia costante, a voler sottolineare neanche troppo velatamente la superiorità di ranking che divideva gli azzurri dai giocatori Macedoni.
Trentasei tiri verso la porta avversaria e niente, nessun gol, nessuna reale preoccupazione portata all'estremo difensore della squadra del Magno Alessandro.
Un gol dopo un paio di minuti dall'inizio del tempo di recupero, invece, spezza le gambe, le speranze e i sogni di una Nazionale irriconoscibile, distante anni luci dalle prestazioni delle Notti Magiche europee... figlia di un cancro che funesta il calcio italiano e dal quale non ci si riesce a ristabilire.
La finalina, inutile, vinta per 3 a 2 contro la Turchia altro non ha fatto che sottolineare l'involuzione di gioco, personalità e spirito di squadra di un gruppo appagato, stanco, goffo e ricco di belle speranze disattese.
Se il mancato accesso in Russia, per mano della Svezia aveva del clamoroso, il mancato approdo al mondiale qatariota è solo anticamera di simpatici meme, sfottò e prese di coscienza.
Due mancate qualificazioni mondiali consecutive, un evento storico e traumatico... Uno smacco per un sistema sempre più ricco, sempre più distante dalla gente, in mano a procuratori, agenti e dream-team.
Un calcio che si impegna di più a collezionare figurine che a fornire uno spettacolo, nel quale gli ingaggi crescono mentre a diminuire sono gli introiti delle squadre, strette nella morsa di un business distante dal pubblico.
Il calcio non si è più fermato, ha subito una battuta d'arresto nel momento peggiore della pandemia mondiale, ma nonostante le difficoltà economiche si è rialzato.
L'imponente macchia si è rimessa in moto, e continua tutt'ora nonostante il conflitto ai nell'Est Europa, che scuote tanto le opinioni pubbliche occidentali.
Questo viaggio unisce due grandi colossi dell'energia, La Russia e il Qatar, sicuramente non giganti dello sport in questione, ma di peso specifico notevole per sponsor, valenza politica ed equilibri economico-politici nelle rispettive aree di interesse.
FIFA e UEFA inseguono il fatturato, l'accordo commerciale, tanto quanto accade in altri sport, certo, snaturando di fatto però la natura stessa della disciplina.
I mondiali in inverno, ad interrompere i maggiori campionati nazionali in aree tensive e distanti dal pubblico che abitualmente si sposta in massa per assistere alle kermesse sportive internazionali più importanti.
Si è assistito ad una condanna quasi unanime al conflitto in Ucraina, con team, federazioni e professionisti, qualificata ad ogni livello.
Una risposta decisa, volta a colpire l'opinione pubblica, perché con lo sport tutto ciò ha realmente poco a che fare.
Cancellare bandiere e rescindere contratti, perdere l'opportunità di disputare competizioni internazionali, non sarà di fatto, come logico che sia, la risposta ad un conflitto.
Ma l'occhio vuole la sua parte, il perbenismo dilagante impone prese di posizioni, che a volte sono buffetti altre volte sberle colossali, tutto sta nel momento, nella situazione, nella contingenza di fattori che esulano il contesto sportivo e muovono da sensibilità politiche economiche e sociali.
Qualcosa di simile lo si è visto e andrà affermandosi in uno sport quale la Formula 1, guidata da un gruppo americano, che nel solco della tradizione a stelle e strisce cerca in ogni modo di spettacolarizzare ogni evento, con l'intento di creare show, continue prime da sold-out piuttosto che accontentare puristi, nostalgici e tifosi legati ad un sapore più semplice della categoria:
Esempi lampanti in tal senso sono la creazione di circuiti ad-hoc per ospitare i Gran Premi, a discapito di sedi storiche, circuiti leggendari e nazioni di tradizione e fama.
Negli ultimi vent'anni si è vista una costante ricerca di delocalizzare l'offerta, proponendo circuiti troppo spesso uguali, per layout, condizioni ed appeal, dislocati nei luoghi più ameni possibili, tra grattaceli, porti o dune, nei vicoli di città quali Baku e Singapore, quanto location artificiali come Sochi e Valencia.
In questi anni la creazione del GP in Arabia Saudita è stata riprova di uno scollamento tra realtà e Circus, in cui il mondo sembra poter essere nascosto fuori dal paddock, relegato a rumore di fondo.
Tra lanci di missili, esplosioni di pozzi petroliferi e abominevoli leggi che ovunque farebbero gridare allo scandalo per il non rispetto dei diritti civili delle persone, il teatrino va avanti, si suona l'inno e si sta con il naso all'insù a rimirare i fuochi d'artificio nella speranza che non ricadano sulle teste, perché the Show must go on...
Tre Gran Premi negli Stati Uniti, tra i quali Miami e Las Vegas prossimi all'esordio nel calendario della Formula 1 moderna non fanno ben sperare...
Glamour, esclusività e ricchezza sono ovviamente importanti per l'apice dello sport motoristico, ma dovrebbero venir dopo a prestazione, competitività e sviluppo in quanto si tratta di prototipi da 350km/h tra le mani di 20 tra i più competitivi piloti del pianeta.
Il declino lento ed inesorabile, è dovuto sicuramente ad una rincorsa a nuovi fondi, nuovo budget per rinnovare l'offerta ludica dell'ecosistema sportivo.
Gli interessi sempre più lontani dal Vecchio Continente vedono una delocalizzazione del palinsesto da far digerire agli Europei, comodamente dai loro divani, riducendo attaccamento e partecipazione e creando un consumo stile FastFood anche dello sport.
Fruibile sempre, senza sforzo, con copioni ben scritti e grafiche da sballo, togliendo sempre di più la patina retrò, quell'eros che si credeva indispensabile.
Prepariamoci dunque anche quest'anno a goderci, in 4K full HD, con audio immersivo e inaugurazione spettacolare un altro evento perfetto, in luoghi da sogno, con campioni e stelle scintillanti, tra i red carpet degli hotel più lussuosi.
Un altro mondiale dunque, un mondiale senza Italia.
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